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Interviste > Nicolas Martino

Principio del piacere vs principio del profitto

a cura di Giorgia Antonini, Lisa Magnoli, Giulia Milanese e Naomi Sabato

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Uno straordinario movimento di innovazione e invenzione di forme di vita più libere e felici, nato negli anni Sessanta nel cuore delle società Occidentali attraversate dallo ciclo di sviluppo neocapitalistico. Società nelle quali – per dirla con Guy Debord e l’IS – la sicurezza di non morire più di fame si scambiava con il rischio di morire di noia.

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Probabilmente possiamo individuare la forza della controcultura in tutti quei piccoli o grandi movimenti e momenti tellurici che periodicamente provano a inventare nuove forme di vita, vite non subordinate a quel principio di realtà che oggi coincide con il principio del profitto.

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Come dicevo prima, le tracce probabilmente stanno in quel desiderio di creare forme di vita legate al piacere della condivisione che ci fa più ricchi e più felici, alla rivendicazione del reddito garantito come fuoriuscita dal ricatto del lavoro precario, alla lotta per il sonno contro quel capitalismo che – come nota Jonathan Crary – ormai tende a farci stare svegli 24 ore al giorno 7 giorni su 7. Oggi “dormire meglio, dormire tutti!” è uno slogan controculturale.

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Potrebbe certamente, ma credo che sia sempre più difficile fare satira, perché la realtà ha superato la fantasia. Non per niente c’è molta meno satira di quanta ce ne sia stata fino a qualche anno fa.

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Nel libro abbiamo cercato – parlo al plurale perché si tratta di un libro collettivo – di declinare il ’68 al presente, cioè abbiamo provato a pensare che cosa può significare il ’68 oggi. Un po’; quello che interessa anche a voi a proposito della controcultura, non fare – solo – ricerca storica, ma cercare di capire quali armi ci può offrire ancora oggi quel movimento. Cosa ne possiamo fare, insomma, di quella insurrezione erotica dei corpi e delle menti.

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Moltissimi, e sono raccontati, per lo più, nel libro di Primo Moroni e Nanni Blaestrini L’orda d’oro, pubblicato la prima volta da SugarCo nel 1988 e poi ristampato più volte da Feltrinelli.

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Non fatevi colonizzare dalla mania performativa e siate curiosi, non vi fermate al menù preconfezionato dell’immaginario a buon mercato, a quel che offre la casa insomma, ma cercate altrove, nelle memorie dei movimenti più creativi, memorie che senz’altro.

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La nascita dell’Internazionale Situazionista (IS) nel 1957, la creazione dell’Atelier populaire des Beaux-Arts nel 1968 a Parigi, la nascita del Punk negli anni ’70 e l’avanguardia di massa del movimento del ’77 in Italia. Anche il movimento post-punk degli anni ’80 in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti…

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La sconfitta dei movimenti e il conformismo che ne è seguito, insieme al principio di prestazione che ha invaso le nostre vite quotidiane. Ma non tutto è perduto.

Nicolas Martino

Principio del piacere vs principio del profitto

a cura di Giorgia Antonini, Lisa Magnoli, Giulia Milanese e Naomi Sabato

Cosa è stata la controcultura per lei?

Uno straordinario movimento di innovazione e invenzione di forme di vita più libere e felici, nato negli anni Sessanta nel cuore delle società Occidentali attraversate dallo ciclo di sviluppo neocapitalistico. Società nelle quali – per dirla con Guy Debord e l’IS – la sicurezza di non morire più di fame si scambiava con il rischio di morire di noia.

E cosa è oggi?

Probabilmente possiamo individuare la forza della controcultura in tutti quei piccoli o grandi movimenti e momenti tellurici che periodicamente provano a inventare nuove forme di vita, vite non subordinate a quel principio di realtà che oggi coincide con il principio del profitto.

Quali sono le tracce di quanto prodotto dalla controcultura e dove è possibile rintracciarla oggigiorno?

Come dicevo prima, le tracce probabilmente stanno in quel desiderio di creare forme di vita legate al piacere della condivisione che ci fa più ricchi e più felici, alla rivendicazione del reddito garantito come fuoriuscita dal ricatto del lavoro precario, alla lotta per il sonno contro quel capitalismo che – come nota Jonathan Crary – ormai tende a farci stare svegli 24 ore al giorno 7 giorni su 7. Oggi “dormire meglio, dormire tutti!” è uno slogan controculturale.

Ritiene che la satira possa essere un valido strumento contro-culturale?

Potrebbe certamente, ma credo che sia sempre più difficile fare satira, perché la realtà ha superato la fantasia. Non per niente c’è molta meno satira di quanta ce ne sia stata fino a qualche anno fa.

Nel suo libro “È solo l’inizio. Rifiuto, affetti, creatività nel lungo ’68.” tratta la tematica della controcultura. Nello scrivere il libro come si è sentito e quali erano i suoi pensieri riguardo il movimento?

Nel libro abbiamo cercato – parlo al plurale perché si tratta di un libro collettivo – di declinare il ’68 al presente, cioè abbiamo provato a pensare che cosa può significare il ’68 oggi. Un po’; quello che interessa anche a voi a proposito della controcultura, non fare – solo – ricerca storica, ma cercare di capire quali armi ci può offrire ancora oggi quel movimento. Cosa ne possiamo fare, insomma, di quella insurrezione erotica dei corpi e delle menti.

Nei suoi studi sulla controcultura ci sono degli aneddoti o eventi che le sono rimasti impressi, raccontati da persone terze?

Moltissimi, e sono raccontati, per lo più, nel libro di Primo Moroni e Nanni Blaestrini L’orda d’oro, pubblicato la prima volta da SugarCo nel 1988 e poi ristampato più volte da Feltrinelli.

Un consiglio per noi giovani futuri designer della comunicazione visiva?

Non fatevi colonizzare dalla mania performativa e siate curiosi, non vi fermate al menù preconfezionato dell’immaginario a buon mercato, a quel che offre la casa insomma, ma cercate altrove, nelle memorie dei movimenti più creativi, memorie che senz’altro.

Può indicarci uno o più eventi significativi e imprescindibili della controcultura.

La nascita dell’Internazionale Situazionista (IS) nel 1957, la creazione dell’Atelier populaire des Beaux-Arts nel 1968 a Parigi, la nascita del Punk negli anni ’70 e l’avanguardia di massa del movimento del ’77 in Italia. Anche il movimento post-punk degli anni ’80 in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti…

Chi ha ucciso la controcultura?

La sconfitta dei movimenti e il conformismo che ne è seguito, insieme al principio di prestazione che ha invaso le nostre vite quotidiane. Ma non tutto è perduto.