Hanno vinto i cattivi. Non perdere mai il senso del potere.
a cura di Gaia Moretti e Naomi Sabato

Dunque, per me è stata fondamentale perché ha coinciso storicamente con la mia crescita adolescenziale, quindi diciamo che l’avvento della controcultura coincide con la mia conoscenza del mondo. Una delle caratteristiche fondamentali della controcultura è che chiedeva di essere trasformata in vita attiva, questa era una delle caratteristiche essenziali, a partire da i libri della Beat Generation, che erano tra i pilastri della controcultura in ambito letterario. L’uscita dei beat aveva questa funzione secondo me fondamentale, che poi è travasata completamente nella cultura Rock alternativa di quegli anni, che era quello di essere dei modelli di vita; cioè io leggevo Robert, potevo essere impressionato dal punto di vista nell’approfondimento dei personaggi, della psicologia, del contesto e del racconto storico in cui si collocavano. La differenza fondamentale che invece c’è con Jack Kerouac con il suo libro On the road, in quegli anni un po’ la bibbia, è che ti diceva “io vivo così”, e ti suggestionava sul fatto che la letteratura fosse un pezzo di vita attiva e non qualcosa da vivere esclusivamente dal punto di vista intellettuale. La stessa cosa facevano i poeti, che erano anche ambasciatori di varie cause tipo per la liberazione delle droghe, dell’omosessualità, come faceva Gilbert per esempio. Quindi non erano solo modelli letterari ma anche politici e lo stesso faceva la musica negli anni sessanta, dando una svolta totale, era più o meno sulla scia della letteratura citata prima, cioè quello che portavano i gruppi Rock o i singoli a partire da Bob Dylan, era quello il pensiero; io vi sto comunicando una vita diversa e non una canzone più o meno bella e/o più o meno suggestiva, quello che vi chiediamo è di avvalere uno stile di vita, che era una forma di vita antagonista, in questo senso si può definire forse controcultura. Si può dire però che in alcuni momenti era diventata mainstream, dominante perché anche a livello popolare, in questo senso c’è stato una confusione tra le due cose, probabilmente irripetibile nella storia umana, in cui ad un certo momento l’avanguardia e la massa erano quasi al punto di coincidere, e l’epicentro di questo erano i Beatles, nel senso che i Beatles erano allo stesso tempo la cosa più amata e apprezzata anche a livello commerciale, perché andavano bene con tutto, ma allo stesso tempo erano tirati dalla giacca da Abby Hoffman, da rivoluzionari, da tutti i matti o i diversivi della cultura che li volevano al loro fianco; ripeto: è stato un momento unico nella storia.
La risposta alla domanda posta può essere molto ampia, per me è stata fondamentale la controcultura, era la mia vita, era qualcosa che io cercavo di introdurre nella mia vita, tutt’ora devo dire che sono frutto di quello. C’è anche da dire magari che come primo lavoro da giornalista ho lavorato per la rivista Muzac, importante all’epoca, concentrata sulla controcultura. Quindi in tutto e per tutto sono cresciuto nel movimento della controcultura e ho voluto che fosse parte della mia vita.
Queste sono domande complesse perché è molto difficile scegliere il filo e capire dove esattamente è andato a cadere e dove a sopravvivere, è difficile perché le forze in campo e le varianti sono migliaia. Sicuramente in tutto quello che è un’idea di progresso e accettazione della diversità, questo è frutto della controcultura, se oggi possiamo dire che ci sono stati progressi nella concezione della donna, della accettazione della diversità. Poi rimangono delle incredibili pecche, per uno come me che ha vissuto la controcultura, sentire oggigiorno parlare ancora di razzismo è assolutamente incredibile. Se mi avessi chiesto negli anni sessanta ti avrei detto che è una battaglia da vincere, e che sarebbe una cosa che sarebbe stata superata, e invece ci troviamo ancora qua. Ho scritto anche un pezzo recentemente e vorrei raccontarvene un pezzettino. Durante le proiezioni al cinema all’aperto a Roma, una cosa molto bella e appoggiata da molti, chiaramente un po’ di sinistra, hanno rotto il naso ad un ragazzo che era collegato all’iniziativa dall’associazione Amici del Piccolo America. Il ragazzo è stato aggredito perché indossava una maglietta in sostegno di questa associazione. Mentre si dirigeva alla proiezione del film First Reformed di Paul Schrader, un gruppo di ragazzi lo hanno accusati di essere antifascista, proprio per la maglietta che aveva indosso, e li hanno intimati di levarla. Al rifiuto è seguito il pestaggio. Mi è successa la stessa cosa cinquant’anni anni fa, e non solo, ho avuto diversi attentanti, ad esempio mi avevano bruciato la macchina. Comunque all’epoca accadevano queste cose, bastava avere un look individuabile e rischiavi di essere picchiato a sangue. Però quello che dicevo io è che cinquant’anni fa andava bene, ma che possa accadere la stessa cosa IDENTICA con le stesse motivazioni cinquant’anni dopo, per me è fantascienza, non riesco proprio a farmela andare giù. Per questo dico che la società è a pezzi, a macchie, è contraddittoria. C’è un po’ di tutto. Per fortuna la società adesso riconosce e accetta determinante cose, come ad esempio l’omosessualità, o in generale la libertà sessuale. La libertà sessuale nasce tutta ed interamente dalla controcultura, soprattutto in Italia in particolare che era un paese molto arretrato rispetto ad altri, viceversa i paesi nordici erano molto più abituati all’idea di reindirizzazione del sesso, invece l’Italia era un paese bigotto, con un pensiero fortemente cattolico, anche nelle istituzioni e in tutto, la libertà sessuale di cui oggi godiamo è legata interamente al processo.
No, direi che il taglio vero è negli anni novanta. Dove tutto essenzialmente muore. Una cosa che era rimasta fino ai primi inizi degli anni novanta era la caratteristica e il pensiero che la musica fosse parte fondamentale della vita, la musica prevaleva su tutto e tutto ruotava a attorno ad essa. Man mano però si va a perdere questa concezione, partendo alla fine degli anni ottanta dove la musica era perno essenziale, arrivando ad un taglio appunto totale degli anni novanta, dove c’è stato un processo completamente diverso di dispersione e di annullamento del potere della musica che infatti oggi è ad un livello molto basso.
Ho scritto un libro qualche hanno fa che si intitolava “Il buio, il fuoco, il desiderio”, in parte sul fatto che la musica non muore e non morirà mai, diciamo che è morto un ciclo storico. Questo è dovuto a tante cose e da una generale anestetizzazione della società attraverso l’impatto invasivo dei media, molto destrutturanti.
Si, il consiglio che mi viene da dare a tutti è di cercare di non perdere mai il senso del potere di quello che potrebbe avere.
Negli anni sessanta era un po’ una famiglia, non tanti insomma, direi i Beatles, i Pink Floyd. Esprimevano un’utopia, che la musica fosse un mondo che si poteva sovrapporre al mondo reale, e sostituirlo magari, sostituirlo in meglio, con un mondo alternativo completo di tutto, di regole, di comportamento, di interpretazioni, della visione del sistema, tutto insomma. Sentirei di citare John Lennon, probabilmente una figura fondamentale, ma c’è ne sono tanti altri ancora, e tutti raccontavano questa utopia.
Nessuno, sono legato a tutti quelli che ho detto. Sono più legato a quella che è la generazione, cioè non vorrei sembrare un passatista né un nostalgico, anzi sono terminologie che non mi piacciono, a me piace vivere nel presente, diciamo che quelle cose sono soggettivamente mancanti, ma non è nostalgia, semmai la vivo con rabbia perché vorrei un Bob Dylan legato all’oggi, e mi fa rabbia che i miei figli non abbiano qualcosa di cosi forte anche loro.
Totalmente, diciamo che è rimasta una certa larghezza, alla fine tra le varie conseguenze della rivoluzione di quei anni c’è quella di aprire le porte, a livello di argomenti. Anche oggi ritroviamo questa cosa, si parla di tutto. Quindi non sono le tematiche che mancano, ma c’è una debolezza generale, manca un po’ la forza, il potere e l’ambizione, il voler scardinare qualcosa, essere una forza motrice.
È scontato da dire ma è la chitarra. Fino ad un certo punto però, ora non lo è da più di 20 anni, diciamo tra gli anni sessanta e settanta erano la chitarra da una parte e il sassofono dall’altra, pensando al jazz, che in quegli anni era di fortissimo impatto, in alcuni casi è stato anche il genere importante, con delle figure più estreme.
No, non direi d’élite, erano due facce della stessa medaglia, poi avevano dei volti diversi, la classica era più sincera e schietta, adatta a cose più semplici, per l’appunto era uno strumento protagonista di quegli anni, perché era l’unico strumento, non solo autonomo ma anche d’accompagnamento, era fortemente socializzante. La chitarra acustica era come lo zainetto, quella elettrica uguale, soltanto che era più costosa e veniva utilizza di più nei gruppi rock, però appunto ritengo che la chitarra elettrica e quella classica fossero due facce della stessa medaglia, dove cambia semplicemente l’utilizzo.
Non è il fatto che mi abbia influenzato, ma ci sono nato e cresciuto insieme. È stato come imparare l’italiano, la propria lingua madre diciamo.
Ovviamente Woodstock in campo musicale è stato un po’ la messa in atto e la pratica di un festival di delegazione, c’era tanta roba dentro di questo tipo, è stato un po’ abusato, diventando un po’ un cliché. Invece più in generale direi quei movimenti che in seguito sono diventati politici, quindi tutti i movimenti studenteschi, partendo da quelli americani, arrivando a quelli italiani e francesi.
Magari è banale ma direi il capitalismo. C’è un mio amico che dice sempre una cosa molto carina, ovvero hanno vinto i cattivi.