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Interviste

Interviste > Fabrizio Bellomo

Spegnete i computer!

a cura di Olena Corzetto e Gaia Moretti

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Il punto di vista che più mi ha affascinato sull’argomento è racchiuso in un articolo di Pasolini del 1973 scritto per il Corriere della Sera, dal titolo “Contro i capelli lunghi” (7 gennaio 1973).
P.S. io stesso porto i capelli un po’ lunghi.

Pasolini faceva l’esempio dei capelloni per descrivere il come gli impeti di dissenso verso gli stilemi piccolo borghesi venissero riassorbiti dal capitale, un riassorbimento che giunge come epilogo comune alle più diverse parabole controculturali.

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Oggi, diciamo, che il numero delle parabole si è semplicemente ampliato: il tutto è esploso – in tutto.

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Le tracce sono innumerevoli e sono dappertutto, ma questo proprio perché gli stilemi, gli archetipi caratterizzanti delle controculture – anche delle più “brutte, sporche e cattive” – finiscono per divenire occasione di speculazione economica: riassorbite dal sistema contestato, divengono altra benzina con cui alimentare la macchina del capitale.

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Nelle buone performance non è cambiato nulla, tutte le cose quando sono buone, sono a loro modo classiche.

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Sono – ancora – uno dei possibili modi di esprimersi.

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Quello che credo sia cambiato è la velocità con cui il sistema dominante riassorbe i moti di dissenso che si manifestano ancora – attraverso l’emergere di altre controculture. È tutto – come dici bene nella domanda – estremamente più rapido.

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Questa è una domanda che non ha senso. Gli unici che hanno realizzato performance legate al mondo digitale, degne, sono Snowden, Assange, Swartz, persone così… Solo gente che conosce davvero questa materia può ribattere a essa.

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Sicuramente per alcuni penso sia necessario, penso sia parte della libertà di espressione di un popolo e di un paese, io però preferisco parlare di realtà particolari e di resilienza all’omologazione, oggi più imperante, a causa della tecnologia digitale.

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“Pensieri Sparsi” è un paradosso, sono stato pagato per “utilizzare” le scritte sui muri – divenute qui il materiale con cui imbrattare la Fondazione Feltrinelli di Milano, fare finta di imbrattare l’architettura di Herzog e De Meuron, visto che le bombolette contenevano una vernice lavabile. Credo che in questo intervento si manifesti evidentemente la fase finale del riassorbimento di cui ho accennato prima in relazione all’andamento delle parabole, a cui le controculture sono destinate: il riassorbimento capitalistico e spettacolare di tutto. Un discorso simile si può fare anche in relazione ai lavori di altri artisti contemporanei, ad esempio penso ad alcune opere di Stefan Brüggemann… “L’Albero di Trasmissione” è, per utilizzare le parole del giornalista Pietro Marino, «…una storia di resilienza alla barese». Ho fatto un film su questa storia.

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Spegnete i computer.

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I versi sugli scontri di Valle Giulia di Pasolini.

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Non è mai nata forse, o meglio, non è mai nata con le ambizioni che abbiamo creduto avesse. Oggi potremmo trovarci ad analizzare i motivi per i quali le controculture siano state fautrici – in quanto movimenti spesso globalizzati – della distruzione di diverse realtà particolari, locali, vernacolari e provinciali.

Fabrizio Bellomo

Spegnete i computer!

a cura di Olena Corzetto e Gaia Moretti

Cosa è stata la controcultura per lei?

Il punto di vista che più mi ha affascinato sull’argomento è racchiuso in un articolo di Pasolini del 1973 scritto per il Corriere della Sera, dal titolo “Contro i capelli lunghi” (7 gennaio 1973).
P.S. io stesso porto i capelli un po’ lunghi.

Pasolini faceva l’esempio dei capelloni per descrivere il come gli impeti di dissenso verso gli stilemi piccolo borghesi venissero riassorbiti dal capitale, un riassorbimento che giunge come epilogo comune alle più diverse parabole controculturali.

E cosa è oggi?

Oggi, diciamo, che il numero delle parabole si è semplicemente ampliato: il tutto è esploso – in tutto.

Quali sono le tracce di quanto prodotto dalla controcultura e dove è possibile rintracciarla oggigiorno?

Le tracce sono innumerevoli e sono dappertutto, ma questo proprio perché gli stilemi, gli archetipi caratterizzanti delle controculture – anche delle più “brutte, sporche e cattive” – finiscono per divenire occasione di speculazione economica: riassorbite dal sistema contestato, divengono altra benzina con cui alimentare la macchina del capitale.

Cosa crede possa essere cambiato nel concetto di performance dagli anni ’60 ad oggi?

Nelle buone performance non è cambiato nulla, tutte le cose quando sono buone, sono a loro modo classiche.

A suo avviso le scritte sui muri sono ancora un esempio della controcultura?

Sono – ancora – uno dei possibili modi di esprimersi.

Dal momento in cui oggi è tutto cosi rapido e immediatamente raggiungibile quanto ancora si può parlare di controcultura soprattutto legata alla forte digitalizzazione?

Quello che credo sia cambiato è la velocità con cui il sistema dominante riassorbe i moti di dissenso che si manifestano ancora – attraverso l’emergere di altre controculture. È tutto – come dici bene nella domanda – estremamente più rapido.

Quello della controcultura sarebbe stato un buon periodo per sviluppare performance digitali o sarebbe stato troppo contro la corrente naturalista degli hippie?

Questa è una domanda che non ha senso. Gli unici che hanno realizzato performance legate al mondo digitale, degne, sono Snowden, Assange, Swartz, persone così… Solo gente che conosce davvero questa materia può ribattere a essa.

Pensa che oggi sia ancora necessario fare atti di controcultura e soprattutto si può ancora parlare di controcultura?

Sicuramente per alcuni penso sia necessario, penso sia parte della libertà di espressione di un popolo e di un paese, io però preferisco parlare di realtà particolari e di resilienza all’omologazione, oggi più imperante, a causa della tecnologia digitale.

Ci può parlare dei suoi progetti, in particolare di “Pensieri Sparsi” e del film “L’albero della Trasmissione”?

“Pensieri Sparsi” è un paradosso, sono stato pagato per “utilizzare” le scritte sui muri – divenute qui il materiale con cui imbrattare la Fondazione Feltrinelli di Milano, fare finta di imbrattare l’architettura di Herzog e De Meuron, visto che le bombolette contenevano una vernice lavabile. Credo che in questo intervento si manifesti evidentemente la fase finale del riassorbimento di cui ho accennato prima in relazione all’andamento delle parabole, a cui le controculture sono destinate: il riassorbimento capitalistico e spettacolare di tutto. Un discorso simile si può fare anche in relazione ai lavori di altri artisti contemporanei, ad esempio penso ad alcune opere di Stefan Brüggemann… “L’Albero di Trasmissione” è, per utilizzare le parole del giornalista Pietro Marino, «…una storia di resilienza alla barese». Ho fatto un film su questa storia.

Un consiglio per noi giovani futuri designer della comunicazione visiva?

Spegnete i computer.

Può indicarci uno o più eventi significativi e imprescindibili della controcultura.

I versi sugli scontri di Valle Giulia di Pasolini.

Chi ha ucciso la controcultura?

Non è mai nata forse, o meglio, non è mai nata con le ambizioni che abbiamo creduto avesse. Oggi potremmo trovarci ad analizzare i motivi per i quali le controculture siano state fautrici – in quanto movimenti spesso globalizzati – della distruzione di diverse realtà particolari, locali, vernacolari e provinciali.