Siamo sempre di fronte a due anime: la controcultura o parte dal basso o non parte
a cura di Nadine Curanz e Elisa Galli

È importante definire un periodo storico; la controcultura, ad esempio, la si può rintracciare, o individuare come filo rosso, sin dall’inizio ’900. Dalla seconda metà del ‘800 è qualcosa che ha che fare con la rottura del pensiero dominante o del pensiero del potere; pensiamo ad esempio alle correnti del Futurismo o del Bauhaus, passando poi per l’arte e tutto ciò che nel ‘900 che ha stravolto i canoni della cultura normalmente intesa.
Dovreste dirmelo voi. Io vedo che per il momento questi movimenti di controcultura nella loro forma più sociale (al limite ”politica”, ma tra molte virgolette) in quanto è più un rifiuto della politica, anche se non un rifiuto aprioristico, ma una negazione in vista di qualcosa, dalla produzione/non creazione di qualcos’altro. Per il momento vedo prevalentemente questa faccia della controcultura. Vedo un grande interesse da parte della società capitalistica nel recuperare qualsiasi forma di controcultura in termini sociali e di mercato, nel senso della normalizzazione e dell’integrazione dentro i meccanismi della cumulazione e della ricchezza, di quelle che possono essere delle forme di rottura; vedo sempre più come grande sfida quella di “riuscire”, vediamo ad esempio il mondo dell’arte quanto si sia finanziarizzato, diventando un mercato a tutti gli effetti. È molto difficile per un’artista essere tale, perché il mercato ti seduce e ti tira dentro, e quando sei dentro è molto difficile definire una tua identità differente, contro. Secondo me è molto probabile che dentro questa frazione capitalistica, del tutto integrata e mercificata, si preparino le basi di una grande bolla dell’arte, una bolla della controcultura dalla quale possono uscire voci e linguaggi che siano degni di essere considerati controculturali, ma per il momento sono difficili da vedere. Un elemento essenziale per essere dentro è essere giovane, al contrario non sarebbe evidente. Ma credo che siamo un po’ in questa fase, che io vedo più in termini sociali però, perché la corda è stata tirata molto, la povertà è aumentata a dismisura, il contrasto con la ricchezza è molto evidente, la vedi perfino nelle vetrine, in televisione, ma non ne godi e dunque è, a maggior ragione, violenta.
Fossi di un altro mondo non te ne accorgeresti ma non essendo così, in quanto ti confronti costantemente con questa ricchezza, arrivi a un momento
nel quale non ce la fai più e insorgi. Però un discorso analogo si può fare nel mondo dell’arte, pensate a cosa ha significato la “finanziarizzazione” di questo mondo è cresciuta nella società la quantità di persone che collezionano pezzi d’arte, persone che mai si sono interessate a questo mondo, e se un tempo esse andavano a Dubai o Miami perché era di moda, ora si comprano un po’ di quadri perché fa sistema, è anche una scorciatoia per entrare con una carta di identità culturale nell’èlite. E’ abbastanza impressionante come la finanziarizzazione abbia stravolto fino all’inverosimile i parametri stessi. Tutte cose che non sto dicendo che bisognerebbe rifiutare ma che sono dei passaggi che ormai si sono consolidati e con cui bisogna confrontarsi. È abbastanza spettacolare l’aumento del potere della finanza all’interno del mondo dell’arte, e anche qui è impossibile non percepire un’esplosione imminente di un rifiuto. I movimenti di controcultura, da che io ricordo, sono stati espressione di rifiuto, rifiutiamo tutto, dichiarazioni a tutto campo per far venir fuori un’altra anima della società, vissuta come oppressiva e noiosa. Tengo un corso alla Naba a Milano, ho a che fare con giovani come voi, e si vede che c’è questo problema, ma sapendo di essere dentro questa economia dell’arte, come possiamo esserne anche contro? È un nuovo dentro e contro che si sta cercando attivamente, ora siamo nella fase di ricerca o forse già in una fase di esplosione.
Sicuramente positivo, se però allude ad altre forme, ad esempio di distribuzione della ricchezza; è da anni che si parla di forme di reddito di base e di cittadinanza, ma nel mondo dell’arte ciò è presente da sempre, riuscire a garantire un minimo a un artista, una borsa di studio o cose del genere, perché possa lavorare senza avere l’assillo della galleria dove esporre. Quindi il problema di voler essere sé stessi ma allo stesso tempo rivendicare il diritto di cittadinanza, fa si che all’individuo sorga il problema di come riuscire allo stesso tempo ad essere se stesso come artista ma non tagliandosi l’orecchio perché diventi matto. In un’economia come quella degli ultimi trent’anni vi è stata una proliferazioni di lavori e l’artista ha potuto con molta fatica destreggiarsi dentro la giungla della propria attività ma lavorando al McDonalds, ha potuto vedere il mondo reale, arricchendosi di quest’esperienza. Ma al tempo stesso si è sviluppata la mercificazione dell’arte, la sua finanziarizzazione e l’aumento del potere dei collezionisti. Ho vissuto questa situazione, quando negli anni ‘70 vivevo negli Stati Uniti, gli artisti erano andati ad occupare i loft. In questi spazi si faceva controcultura o controcittà, erano spazi di attività artistiche e di vita. Successivamente sono arrivati i brokers che hanno acquistato questi spazi e gli artisti si sono divisi tra chi è riuscito a diventare artista “di corte”, mettendosi al servizio dei ricchi, mentre altri sono semplicemente scomparsi. Una situazione analoga nel mondo della musica, la New Wave degli anni 70/80, dove alcuni artisti come Madonna ce l’hanno fatta, altri invece non sono riusciti ad emergere. Siamo sempre di fronte a due anime, di una contraddizione eterna che è quella che alimenta la controcultura.
Il mio consiglio è quello di tenere un piede nella formazione, dove è possibile si aprano delle possibilità di lavoro, esempio uno stage, senza uscirne immediatamente dopo la laurea, poiché partire da zero penso renda molto difficile dare il via alla propria carriera lavorativa. Consiglio inoltre di viaggiare e allontanarsi dal Ticino, in quanto realtà molto piccola.
Sarei più propenso a dire che da anni abbiamo visto un’economia degli eventi, si è passati da un evento all’altro, da un’Expo 2015 alla Biennale di Venezia. Il mondo dell’arte passa attraverso questi eventi e questi sono diventati una sorta di tormentone; pensate ad esempio a quanto succede in Germania, alla Documenta, sono dei momenti molto interessanti, ma il problema è come produrre controcultura al di là degli eventi. L’evento è diventato una trappola per la controcultura, ovvero è proprio un modo per ucciderla ancora prima che essa possa nascere; riuscire a riflettere su questa economia degli eventi in modo critico pensando a cosa impedisca alla controcultura di esplodere e di venire fuori. Questa logica dell’evento costringe tutti a partecipare in maniera omologante e omologato a qualcosa organizzato da altri, dunque non ti permette di agire in maniera controculturale. La controcultura o parte dal basso o non parte, non esiste altro modo di produrre eventi controculturali, bisogna dunque trovare delle modalità “contro eventemenziali” per poter ridefinire un territorio di controcultura.
Quando ero a New York avevo vissuto da dentro questo movimento Underground della New Wave, ero amico di Jean Micheal Basquait e David Byrne. Ad un certo punto ci fu un evento: il PS1, una famosa esposizione che si dice abbia dato avvio alla New Wave, in realtà la sigillò. Questo fu l’evento che uccise la New Wave nella sua natura controculturale.